Tra le braccia del vento

MONTE META

Con un piccolo gruppo abbiamo sfidato vento e nuvole sul Monte Meta

camosci e panorami si svelano come segreti di una montagna intrisa di magia.

La mattina ci accolse con un respiro di vento freddo mentre ci inoltravamo nella faggeta in direzione di Monte Meta, a 2242 mt. I tronchi alti e robusti si stringevano attorno a noi, come guardiani silenziosi di un sentiero che prometteva avventura. Camminavamo tra il fruscio delle foglie secche e il profumo del muschio bagnato, e già, sopra le nostre teste, il vento scuoteva le montagne, trasportando con sé un canto selvaggio che sembrava annunciare la nostra sfida.

Usciti dal bosco, ci trovammo davanti il Gendarme, una figura rocciosa e imponente che sorveglia la Val Pagana. Era avvolto da un mantello di nuvole grigie e dense, quasi volesse nascondersi agli occhi di chi lo osava osservare. Ci fermammo un momento per respirare e valutare il prossimo passo. Il vento si faceva sentire con insistenza, accompagnato da un filo di pioggia che punzecchiava la pelle. Decidemmo di aspettare, cercando riparo tra le rocce, mentre le nuvole sopra di noi si rincorrevano in una danza frenetica.

Il vento portava con sé il canto selvaggio della montagna e tra le nuvole, i camosci apparivano come spiriti silenziosi

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Quando il cielo iniziò a schiarirsi a tratti, riprendemmo il cammino verso il Passo dei Monaci. Il paesaggio intorno a noi era mozzafiato: le montagne si alternavano a spazi aperti, e ogni schiarita rivelava nuovi dettagli del panorama, come un quadro che si svela poco a poco. Ad un tratto, tra le rocce, scorgemmo un Camoscio appenninico, placidamente seduto. Sembrava indifferente al vento e alla pioggia, un abitante fiero e pacifico del regno montano.

Man mano che ci avvicinavamo al passo, il vento si faceva più impetuoso, costringendoci a soste frequenti. Ci stringevamo nei nostri gusci impermeabili, attenti a proteggerci da quelle raffiche che sembravano volerci spingere indietro. Finalmente raggiungemmo il Passo dei Monaci. Le nuvole ci avvolgevano come un mare lattiginoso e soffocante. Procedevamo uniti, vicini, la visibilità ridotta ci faceva sentire come esploratori di un altro mondo.

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La salita alla vetta era ripida e impegnativa, il sentiero si snodava tra rocce e chiazze d’erba. Di tanto in tanto, tra le nuvole che si aprivano come tende di un sipario, comparivano altri camosci. Brucavano l’erba con calma, lanciandoci sguardi curiosi e imperturbabili, fantasmi della montagna che ci accompagnavano silenziosi.

Quando finalmente raggiungemmo la vetta, il cielo ci regalò un breve momento di grazia. Le nuvole si aprirono, e davanti a noi si stese un panorama che toglieva il fiato: un intreccio di valli, montagne e cieli, un’opera d’arte scolpita dal tempo. Ci sedemmo lì, sfiniti ma felici, a mangiare qualcosa mentre il vento ululava intorno a noi. La tregua durò poco: il freddo e le nuvole fitte tornarono impetuosi, spingendoci a ripartire.

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La discesa fu un viaggio tra le nuvole. Il mondo intorno a noi sembrava sospeso, un limbo in cui le sagome dei camosci apparivano e sparivano, quasi a ricordarci che eravamo ospiti di una natura antica e indomabile. Tornati al Passo dei Monaci, ci fermammo per un ultimo sguardo alla montagna. Ora, libera dalle nuvole, si stagliava nitida contro il cielo.

Riprendemmo il cammino lungo la Val Pagana, stanchi ma soddisfatti. La montagna ci aveva regalato la sua essenza: la fatica, la bellezza, la sfida, e un pizzico di magia.

 

Testo e Foto © Marco Buonocore

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Monte Meta ci ha parlato con il linguaggio del vento e delle nuvole, svelandosi solo a chi sa attendere.

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