Sulle ali del Monte Marsicano

dall’alba all’infinito

Il Marsicano, con i suoi 2242 metri, sembrava un trono ancestrale, un balcone naturale sospeso tra il blu del cielo e il verde scuro delle valli, da cui dominava l’intero regno dell’Appennino

L’alba dipinse il cielo con pennellate di fuoco: striature d’arancio, viola e oro che danzavano sulle nuvole, come un sogno vibrante

Partimmo nel buio, quando la notte ancora avvolgeva la terra e solo il sottile bagliore delle nostre torce frontali tagliava il silenzio dell’alba imminente. Le montagne dormivano intorno a noi, e il sentiero si snodava come un serpente tra i cespugli e le rocce, nascosto dalle ombre. L’aria fresca e frizzante ci riempiva i polmoni, mentre i nostri passi erano gli unici suoni nel cuore della natura.

Quando il cielo cominciò a schiarirsi, eravamo ormai giunti sul Monte Forcone. Il mondo davanti a noi sembrava risvegliarsi lentamente, come se la montagna stessa ci stesse invitando a partecipare al miracolo del giorno che nasceva. Ci fermammo, ancora ansimanti per la salita, e ci voltammo verso l’orizzonte. L’alba esplose con colori indescrivibili: striature di arancione, rosa e viola si riflettevano sulle nuvole sparse, come pennellate di un artista impazzito. Il paesaggio sotto di noi si rivelava a poco a poco, le cime vicine emergevano dalle ombre notturne come giganti che si stiravano dopo un lungo sonno mentre una leggera nebbia avvolgeva le valli. Il silenzio era quasi sacro, interrotto solo dal canto lontano di qualche uccello mattutino.

Dal buio prima dell'alba alla vetta del Monte Marsicano, abbiamo attraversato silenzi, colori e panorami in un incontro indimenticabile con l'essenza della montagna

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Restammo lì, senza fretta, ammaliati da quel momento di quiete assoluta. Ogni respiro sembrava rallentare, quasi come se la bellezza di quella vista richiedesse un’attesa, un rispetto silenzioso. Lontano, i cervi bramivano. Era la stagione degli amori, e il loro richiamo profondo risuonava nella valle come un antico canto selvaggio. Qualche metro più in là, un gruppo di camosci ci osservava da un promontorio roccioso, immobili, attenti, come se fossimo noi i protagonisti di quella scena e loro i silenziosi spettatori.

Dopo un po’, decidemmo di rimetterci in marcia. La cima del Monte Marsicano ci chiamava, e il sole che ormai cominciava a scaldare la terra ci spronava a muoverci. La salita si fece più ripida, il sentiero si inerpica tra rocce e ciottoli, ogni passo richiedeva attenzione. Il fiato diventava più corto, ma la determinazione era più forte della fatica. Ci fermavamo di tanto in tanto, per riprendere fiato e per osservare il panorama che, ad ogni metro guadagnato, diventava sempre più vasto.

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Infine, dopo un ultimo sforzo, raggiungemmo la vetta. Il vento ci accolse come un vecchio amico, sferzandoci il viso e soffiando via la stanchezza. Davanti a noi si apriva un panorama che toglieva il fiato. Il Marsicano, con i suoi 2242 metri, si ergeva come un balcone naturale, offrendo una vista a 360 gradi sul cuore dell’Appennino Centrale. Da lì, potevamo abbracciare con lo sguardo le principali montagne del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise: Monte Amaro, La Camosciara, il Petroso, Serra delle Gravare. Le valli e le creste si stendevano come una mappa vivente sotto i nostri piedi, con la Val Fondillo e le Creste di Iorio che emergevano dal verde dei boschi. Era come essere su una soglia tra cielo e terra, tra il passato remoto delle montagne e il nostro presente fugace.

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Non rimanemmo a lungo sulla cima. Il vento, freddo e impetuoso, ci spinse a non fermarci troppo, ma nonostante questo, la soddisfazione di aver conquistato quella vetta era evidente nei nostri sorrisi stanchi. Dopo qualche istante a contemplare quella vastità, decidemmo di ridiscendere per il versante nord.

Il sentiero lungo la cresta era affilato, e man mano che scendevamo, la parete nord del Marsicano si svelava ai nostri occhi. Come un segreto ben custodito, la Valle di Corte si apriva sotto di noi, incastonata tra le montagne come un gioiello nascosto. Era selvaggia e intatta, silenziosa nella sua bellezza primitiva. Ci fermammo un momento, ammirando quel paesaggio incantato, come se la montagna ci stesse mostrando uno dei suoi tesori più preziosi.

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La discesa fu lenta e attenta, ma mentre avanzavamo, la sensazione di aver vissuto qualcosa di straordinario cresceva. Ogni passo verso valle ci riportava alla realtà, ma dentro di noi sapevamo che quel giorno, su quelle cime, avevamo toccato con mano l’essenza stessa della montagna. Un’esperienza unica, un’avventura indimenticabile, che avremmo portato con noi per sempre.

 

Man mano che il paesaggio si trasformava la nostra mente si riempiva di immagini e ricordi che si intrecciavano in un mosaico di emozioni. Ogni respiro, ogni sguardo verso l’orizzonte, ci ricordava la maestosità di ciò che avevamo appena vissuto. L’impatto di quell’esperienza sarebbe rimasto con noi, come una traccia indelebile nel nostro cuore, a ricordarci che la vera magia non risiede solo nei luoghi che visitiamo, ma anche nelle emozioni che proviamo lungo il cammino.

 

Testo e Foto © Marco Buonocore

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