L'Ultimo Bagliore

Un Tramonto Invernale a Forca Resuni

Nel silenzio glaciale, ogni passo scricchiolava nella neve, mentre il tramonto dorato dipingeva un paesaggio incantato nel cuore dell'inverno montano

In un tramonto di fine gennaio un viaggio verso il Rifugio di Forca Resuni diventa una danza epica tra la fatica e la maestà eterna della natura

Il cielo si tingeva di sfumature dorate e rosa pallido mentre il sole si abbassava lentamente all’orizzonte. Ogni passo che facevo affondava nella neve fresca, scricchiolando sotto il peso delle ciaspole, un suono solitario che riecheggiava nel silenzio glaciale del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Era la fine di gennaio, e l’inverno aveva avvolto ogni cosa in una morsa gelida, trasformando il paesaggio in un regno bianco e desolato.

Il cammino era stato lungo e faticoso. La faggeta, che d’estate accoglieva i visitatori con la sua ombra fresca e rigogliosa, ora sembrava una cattedrale silenziosa, con i rami degli alberi curvati dal peso della neve. Ogni tanto un ramo cedeva al carico e la neve scivolava giù, rompendo il silenzio con un tonfo sordo. Mi spingevo sempre più in alto, verso il Rifugio di Forca Resuni, un luogo che nei miei pensieri evocava storie di guardaparco eroici, di vite dedicate alla protezione di queste terre selvagge.

Quando finalmente raggiunsi il rifugio, a oltre 1950 metri di altezza, il paesaggio che si apriva davanti ai miei occhi era mozzafiato. Il rifugio, ricoperto da uno spesso strato di ghiaccio, sembrava un monumento alla resistenza contro le forze della natura. Il Monte Petroso si ergeva imponente a lato, la sua cima illuminata dagli ultimi raggi del sole che spariva all’orizzonte. Era uno spettacolo che non avrei mai dimenticato, uno di quei momenti in cui la bellezza cruda della natura ti fa dimenticare la fatica e il freddo.

Preparai rapidamente l’attrezzatura fotografica. L’aria si faceva sempre più gelida, e la luce diminuiva rapidamente. Il tempo era tiranno, e sapevo di dover essere rapido. Decisi di fare un autoscatto mentre camminavo verso il rifugio, per immortalare il mio viaggio solitario attraverso quel paesaggio surreale. Poi, con mani che cominciavano a perdere sensibilità, mi dedicai alla seconda foto: il rifugio in primo piano, coperto di ghiaccio, con il Monte Petroso e il sole calante a far da cornice.

Ma il freddo era impietoso. La temperatura crollava insieme al sole, e sentivo il gelo insinuarsi nei guanti e negli scarponi. Le dita mi facevano male, e la pelle del viso, esposta al vento tagliente, bruciava. Nonostante il desiderio di restare ancora un po’ e catturare ogni sfumatura di quel tramonto invernale, sapevo che dovevo scendere.

Con il cuore che batteva forte e la mente ancora piena delle immagini appena catturate, rimisi in fretta tutto nello zaino. Le mani tremavano, e i piedi erano ormai intorpiditi. Mentre cominciavo la discesa, il silenzio della montagna si faceva ancora più profondo, interrotto solo dal suono dei miei passi e dal vento che fischiava tra gli alberi.

Ogni passo nella neve è un incontro intimo con la montagna, dove la fatica si dissolve nella meraviglia e il freddo si trasforma in pura bellezza

Ogni metro che scendevo era una lotta contro il gelo, ma sapevo che l’avventura che avevo appena vissuto era qualcosa di speciale. La fatica, il freddo, il pericolo: tutto svaniva di fronte alla bellezza di quel luogo, alla magia di quel tramonto invernale. Gli scatti che avevo riportato a casa erano più di semplici foto; erano il ricordo di un momento unico, di una sfida superata in armonia con la natura, di una connessione profonda con la montagna. E mentre il buio calava rapidamente, illuminato solo dalla debole luce della mia torcia frontale, sapevo che quell’esperienza sarebbe rimasta con me per sempre.

 

Testo e Foto © Marco Buonocore

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